L'invasione francese - LONGOBARDINFOTO

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L’invasione francese a Longobardi
Nel 1806 il regime borbonico nella società meridionale subì  l’occupazione francese dell’esercito di Giuseppe Bonaparte la cui azione faceva parte di una più ampia strategia di conquista di Napoleone.
Nei feudi calabresi degli Alarcon y Mendozza e a Longobardi, alla notizia del crollo militare borbonico avvenuto  il 15 febbraio  1806, quando i transalpini entrarono a Napoli, la conquista francese
della Calabria era tutt’altro che avvenuta e sulla costa tirrenica resistevano alcune piazzaforti  comandate da valorosi uomini come Ridolfo Mirabelli e Giovan Battista De Micheli.
Il longobardese mise a rischio vita e sostanza per fermare lo straniero ed incitò i corregionali a moltiplicare le forze perché l’azione nemica non conosceva pietà.
“I francesi insediavano paesi  interi e non risparmiavano sangue di donne, vecchi e bambini sin dentro il Sacro delle chiese.” In nome della religione e del legittimo monarchico Giovan Battista De Micheli, iniziò la battaglia al comando di un’armata raccogliticcia,composta in gran parte di contadini, pastori,montanari,la classe più misera e abietta del luogo, divisa in masse e guidate da persone di sua fiducia, tra cui i nipoti Gaetano e Luigi Mancini. Non esperti militari,cercano di cavarsela come meglio possono,con agguati, imboscate, tranelli, evitando il più possibile lo scontro frontale. La resistenza del  De Micheli durò dieci mesi (maggio 1806-febbraio 1807)
e coinvolse direttamente Longobardi, che dalla seconda quindicina di settembre 1806 fu suo quartiere generale e subì la decimazione delle famiglie giacobine. Riguardo
a questa azione ci sono due tipi di lettura: una nazionalistica che interpreta la sommossa come un atto necessario per fermare lo straniero oppressore e i suoi sostenitori,
e una sociale, per cui la reazione nacque per interesse personale e dal sentimento ostile alle famiglie rivali della borghesia locale. In realtà, a Longobardi, le casate giacobine dei Miceli, Pellegrini, Frangella,
Pizzini e Garritano, solo per citarne alcune, subirono numerosi lutti. Analizzando le lettere spedite da Giovan Battista De Micheli al Re Ferdinando IV, sembra, però, che la saggezza militare del longobardese non fu mai offuscato dall’odio e che lo stesso si adoperò per impedire lo spargimento di sangue. Il 26 settembre del 1806, data fatidica per Longobardi,già sconvolta per la morte di  Carlo Colonna ,Vincenzo Martore,Alessandro Miceli e di Pietro Frangella,pianse l’uccisione di 19 cittadini,la maggior parte appartenevano alla famiglia Miceli. La carneficina avvenne in maniera orribile condotta da Vincenzo Presta. La sorpresa era il suo mezzo migliore,piombarono nelle case rivali e fecero macello.I prigionieri catturati furono trascinati sulla spiaggia è furono consegnati ad esponenti  della famiglia Mannarino-Cicerello,imbarcandoli su due pescherecci,gli svelarono il loro destino:la morte. Portati al largo e buttati in acqua si sommersero crudelmente uno dopo l’altro, tra  grida inefficaci e strazio. Placido Miceli di tenera età fu colpito a colpi di remi  che ne affrettarono il morire. Domenico Miceli  sacerdote finì seviziato e schernito. Dopo qualche ore le onde del mare restituirono i cadaveri  alla terra ferma e si sentì dire che venissero divorati dai cani. I loro nomi venivano registrati sul libro dei defunti ma non si specifica dove furono tumulati, invece si indica la causa della morte “violenta”.
La notizia dell’eccidio borbonico di Longobardi e l’attacco alla città di Paola,non tardò ad arrivare la reazione francese, che dopo due mesi il generale  Jean Antonie Verdier, ordina a Desgravier Berthelot di occupare il territorio di Longobardi e snidare i pericolosi assassini . Con un esercito di circa tremila uomini e rafforzato  da patrioti locali come,i Zupi, i Miceli,gli Staffa,i Frangella per trarre vendetta su quel borboniano per morti crudeli e recenti.All’alba del 26 dcembre i soldati francesi entrarono in paese ,non ebbero rispetto per nessuno,saccheggi,incendi,furti e distruzione e disprezzo nei luoghi Sacri. Giovan Battista De Micheli si salvò con l’aiuto dai realisti di Belmonte,in tre ore liberò il paese dallo straniero. Tra le macerie furono raccolti numerosi cadaveri. Un mese dopo il 22 gennaio del 1807 i francesi ritornavano a Longobardi,il comandante Berthelot, variò la sua strategia d’attacco, non più all’alba ma durante la notte ,sotto la protezione dell’oscurità,distrussero le forze rivali,occuparono il centro dando origine ad una festa crudele,che si concluse  con il saccheggio e la distruzione delle case,  senza aver riguardo alcuno alla religione,alle proprietà,all’onore delle    famiglie per bene ed al
sangue di nessuno,cosi riferiva il De Micheli con scritti a Ferdinando IV. Sul campo di battaglia i caduti furono 97. Giovan Battista De Micheli fu al centro di questo periodo,e lo fu non per maneggio di Corte od altri, ma per merito indiscusso e rettitudine.                                                                                       
Figlio di un padre che conobbe la morte per l’infamia lei vili e per coltello di gente avida ai beni altrui. Fu il braccio destro del Ruffo,con la sua carica umana,il suo alto senso di giustizia,le sue capacità di organizzatore e di trascinatore di forze,infaticabile nell’occupare e chiudere i passi o le valli possibili
al nemico. Difensore del suo RE,della sua fede cattolica,avversario dello straniero,dissacratore delle cose più elevate e della chiesa stessa. In lui fu tutta una coerenza,e tanto la sentì e la coltivò che,perduta la lunga e laboriosa vicenda di guerra,che lo vide stratega accorto e politico avveduto,fatta salva la famiglia presso il RE, in Sicilia non fugge. Aveva fatto d’altronde il suo dovere di condottiero e di alto funzionario,non aveva quindi nulla da temere del vincitore.Sfuggito più volte allacarcerazione e al patibolo,ma l’appuntamento con la morte fu solo rimandata ,abbandonato dal Re Borbone e dagli alleati
inglesi,venne catturato dai francesi di Berthelot è fu ucciso nel castello di Fiumefreddo. in quel castello più volte difeso e riconquistato, un furia omicida”quasi triste eredità” un altro vile gli spara e lo precipita dalle mure,il 12 febbraio del 1807,all’età di 52 anni. Dopo la resa di Fiumefreddo e la scomparsa del De Micheli, la resistenza dei calabresi continuò in modo occasionale,e Giuseppe Bonaparte ordinò alla commissione militare di giudicare i prigionieri come “briganti”.Il 3 aprile del 1807,nella piazza di Longobardi ,furono condannati a morte e fucilati 16 cittadini,la stessa esecuzione in Marina di altri 8 Longobardesi,in seguito alla sentenza del 3 aprile altri 11 furono condannati a morte. La famiglia De Micheli pagò il proprio attaccamento alla bandiera dei Borboni con la confisca dei beni.
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